Quello che stai leggendo preferisco considerarlo uno spunto di riflessione (come diversi ne troverai in questo sito) più che un vero e proprio articolo.

É la condivisione di una storia, di una metafora, che aprirà una serie di storie che sceglierò per stimolare i processi mentali alla riflessione.

Il coaching è l’arte di porre domande e proprio da queste, cioè dalle domande che a volte ci facciamo, la storia che segue ci offre una prospettiva differente di interpretazione.

Oggi non potevo iniziare che con questo esempio: uno dei più belli e potenti in cui è evidente come l’atteggiamento di un uomo sia stato ispirato e sostenuto da alcune parole scritte molti anni prima. Mi riferisco a Nelson Mandela (primo presidente a essere eletto dopo la fine dell’apartheid – governo razziale  – nel suo Paese e premio Nobel per la Pace nel 1993) e alla poesia “Invictus” (tradotto dal latino come “non vinto”, ossia “mai sconfitto”).

Molti sanno che Nelson Mandela, prima di divenire Presidente della Repubblica Sud Africana, scontò 27 anni di carcere, oltretutto considerati a posteriori, una pena ingiusta.

Un’enormità di tempo in cui veniva privato di ogni sua libertà, un’enormità di tempo insopportabile per la mente umana imprigionata nelle più profonde paure inenarrabili.

Molti altri però ignorano, che la poesia a lui spesso attribuita, in realtà erano versi creati da un poeta inglese più di un secolo prima, per l’esattezza pubblicata nel 1888 nel Book of Verses (“Libro dei versi”) di William Ernest Henley.

Mandela stesso confessò che quella poesia fu l’unica verità che lo tenne in vita per quel lungo e buio periodo di detenzione.

Ti riporto un estratto del film di Clint Eastwood “Invictus”, in cui quella stessa poesia viene interpretata in modo toccante e ci fa rivivere quelle parole così potenti da tenere in vita lo spirito forte di un uomo che ha cambiato la storia di una gran parte della popolazione mondiale.

Ed ecco il testo (leggermente diverso da quello cinematografico) tradotto dalla versione originale dell’opera:

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un abisso che va da un polo all’altro,
Ringrazio qualsiasi dio esista
Per la mia indomabile anima.

Nella feroce morsa delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e di lacrime
Incombe solo l’Orrore delle ombre,
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

 

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

La cosa ancora più affascinante della storia legata a questa poesia è la sua origine, senza dubbio molto meno nota dei fatti relativi a Mandela. In realtà, ognuna di quelle parola ha una forza potente, dettata dalla vita di un uomo che nonostante le difficoltà non si è mai voluto arrendere. Già dall’età di 12 anni, l’autore (Henley) soffriva del morbo di Pott, una malattia che colpisce le ossa e che gli impedì di vivere una vita normale. Nonostante l’amputazione di una gamba a 25 anni e i continui ricoveri per la sua patologia, Henley finì gli studi e divenne giornalista. La poesia è stata praticamente scritta da un letto di ospedale, ma racchiude tutta la determinazione di combattere per “restare padroni del proprio destino”. È stata questa la fonte di ispirazione che ha illuminato Mandela.

Ispirazione, è così che Mandela la definì: disse che un uomo (o una donna) per vivere o per sopravvivere, necessitano di un’ispirazione e nulla più, ancor prima della motivazione.

L’unico modo di ricevere un’ispirazione è guardarsi intorno. Fare propri degli atteggiamenti, delle parole, delle note o dei colori, rievocandoli quando se ne sente la necessità, al fine di oltrepassare un grave ostacolo o di raggiungere un agognato traguardo.

Questa rubrica non vuole avere la presunzione di ispirare, ma vuole concederti la possibilità di essere ispirato attraverso la rievocazione, articolo dopo articolo, di qualcosa che è ci è stato lasciato da qualcuno proprio lì, a disposizione del nostro percorso di auto-miglioramento.

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DOMANDE DI COACHING:

  • Quale difficoltà stai attraversando e cosa ti aiuta a “restare in piedi”?
  • Da chi, o cosa, trai la tua maggiore ispirazione nel lavoro?
  • Esiste un “modello comportamentale” che appartiene a qualcuno che conosci, che ti funge da ispirazione per migliorarti nella vita?
  • La poesia termina con i noti versi “Io sono il padrone del mio destino/ Io sono il capitano della mia anima”; nella tua vita di oggi, ritieni di essere tu a guidare il timone, o sei in balia degli eventi e delle emozioni che li accompagnano?

di Angela Pollastrini