Partiamo da un dato certo: aiutare gli altri è bellissimo ed è una dote preziosa che non tutti possiedono. Il problema è che spesso questa tendenza porta a estremi che ti fanno scordare di te ed ecco qui che salta fuori la “sindrome da crocerossina”, che ha caratteristiche ben definite e che si possono riassumere in tre punti:

  • essere disponibili per tutti (o quasi),
  • farsi carico dei problemi altrui,
  • mettere in secondo piano i propri desideri o bisogni.

Da queste tre macro-caratteristiche scaturiscono tutta una serie di conseguenze che spesso causano problemi e insoddisfazioni.

Essere disponibili per tutti ti rende il soggetto perfetto su cui appoggiarsi… e questo a prescindere dal fatto che chi riceva il tuo aiuto sia un manipolatore (e quindi crei un rapporto a “senso unico” dove tu dai e lui/lei non fa altro che ricevere), oppure abbia davvero un problema da risolvere o una situazione che vive male e chieda il tuo sostegno in buona fede, agendo, però, involontariamente meno per risolvere la questione, proprio perché sa che tu sei lì a sostenerlo.

Eh sì, perché farsi carico dei problemi altrui sposta la responsabilità della propria vita, da lui/lei a te. In qualche modo finisci per interferire – pur se con le più nobili e generose intenzioni – sulla capacità di evoluzione che una situazione difficile può generare nell’altro.

È ovvio che avere un amico/una madre/ una persona cara vicina quando se ne senta la necessità, aiuti a trovare anche rinnovata energia per rialzarsi e questo è sano; il guaio succede quando, per affetto, per senso del dovere, tu decidi di “salvare l’altro” quando in realtà potrebbe salvarsi da solo, “crescendo” da punto di vista personale e senza gravare su di te.

Questo significa anche che i tuoi bisogni, i tuoi desideri, non possono venire sempre dopo quelli di qualcuno che vuoi aiutare. Anche qui il discorso riguarda il buon senso: è normale che in determinate circostanze relazionali, possa capitare di scendere a compromessi e magari fare – o rinunciare a fare – qualcosa per l’altro, o per il vostro rapporto; ma qui si gioca su una linea sottilissima, dove il rischio è quello di dimenticarsi di sé, di darsi davvero poco valore e questo è il torto maggiore che ci si possa fare.

È facile in questo modo cadere nel vortice della dipendenza affettiva, oppure della bassa autostima, del non saper dire di no, dell’affaticarsi tanto – fisicamente e/o psicologicamente – per qualcun altro, quando poi non rimangono quasi più energie per te.

Allora come si risolve? Come si esce da questo atteggiamento deleterio?

Con piccoli passi e piccole azioni che piano piano portano a una consapevolezza più elevata.

Te ne elenco alcune:

  • Seleziona le persone che davvero si meritano il tuo aiuto. Non significa che tu le debba necessariamente conoscere bene, o che debbano rientrare nella cerchia dei tuoi affetti più cari; l’importante è che tu ritenga che il tuo supporto sia davvero positivo e richiesto.
  • Questo punto si ricollega a quello di sopra: se devi aiutare qualcuno, accertati che il tuo aiuto sia richiesto e voluto. Non interferire nella vita di un’altra persona se questa ritiene di potersela cavare da sé, perché probabilmente serve che affronti quella prova da sola, che riesca a trovare risorse interne che non sapeva di avere… e magari ha bisogno di commettere anche qualche errore per capire davvero come vanno le cose e come lei/lui si dovrà comportare in futuro in un determinato ambito della propria esistenza.
  • Se ti va di dire di no, fallo. Se ritieni che qualcosa non sia giusta, o ti infastidisce, o ti reca danno, chiediti perché devi farlo per forza… se il tuo ragionamento ti conduce a motivazioni oggettive che giustificano il tuo “sì, lo devo fare”, allora forse è davvero uno di quei compromessi sani che è giusto abbracciare; ma in caso contrario, tu non sei obbligato a fare alcunché.
  • Abbandona il senso di colpa. Non hai idea di quanta gente agisca solo per evitare il senso di colpa, o per smorzare quello indotto dall’esterno (famiglia, usanze, partner, figli, colleghi…). Non c’è alcuna colpa nel pensare a sé – ovviamente senza recare tu stesso danno ad altri – in una prospettiva dove tu sei davvero importante e prioritario nella tua vita.

Quindi ben venga l’aiuto, anche senza aspettarsi nulla di materiale in cambio, purché sia in un’ottica di rispetto reciproco ed equilibrio relazionale; altrimenti ti potresti trovare a vivere un senso di vuoto, frustrazione e/o tristezza che deriva dal sentirti troppo spesso sfruttato, o mai abbastanza libero di occuparsi di te.

Tieni a mente, però, che queste conseguenze rimangono comunque una tua responsabilità: non puoi prestare sempre il tuo aiuto e poi lamentarti che anche tu hai i tuoi problemi e sei solo ad affrontarli… forse, in questo caso, c’è qualcosa che dovresti e puoi cambiare.

Ricorda che anche la persona più buona del mondo, può cadere involontariamente nella trappola dell’appoggiarsi troppo a qualcuno costantemente pronto a dare una mano, rendendo quella relazione totalmente sbilanciata a discapito di chi non fa altro che dare.

Il rispetto relazionale, lo scambio reciproco sono elementi essenziali per vivere bene con gli altri, in modo più autentico e appagante per ciascuno; quindi quando senti che non riesci a dire “no” e tendi ad occuparti anima e corpo dei problemi altrui, aumenta la tua consapevolezza, domandati se questo è ciò che davvero vuoi e che ti fa stare bene. Poi decidi tu, nella piena libertà e responsabilità che caratterizza ogni scelta della tua vita.

di Angela Pollastrini