Si parla da tempo del coaching e ormai c’è chi si è fatto un’idea piuttosto precisa delle sue potenzialità, mentre altri si chiedono ancora come funzioni.

Sì, ok, il coach ti aiuta a potenziarti e a raggiungere gli obiettivi… ma come fa? Come lavora sui problemi o i target degli altri?

Bene, vediamo di fare un po’ di chiarezza.
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Cos’è il coaching?

Parto dalla definizione “classica”: secondo la ICF (International Coach Federation), il coaching è una strategia di formazione che, partendo dall’unicità dell’individuo, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione che possa migliorare e amplificare le proprie potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team, manageriali e sportivi.

Immagina un allenatore di un grande atleta olimpionico: cosa deve fare? Deve essere in grado di sviluppare e far emergere le potenzialità della persona che sta seguendo. Detto in poche parole: deve saper come migliorare le sue performance. Allora come fa? Semplificando all’estremo: capisce il livello del suo atleta, punta insieme a lui a un obiettivo specifico (che può essere una gara, la qualificazione per un evento, una determinata forma fisica, ecc.) e butta già un piano d’azione fatto di allenamenti, abitudini corrette da seguire e step intermedi, che possano non solo rafforzarlo, ma anche fargli conquistare ciò per cui si sta allenando.

Ecco, il coaching è essenzialmente questo, solo che il campo di lavoro non è una palestra vera e propria dove allenare il corpo; ma la propria esperienza di vita, dove allenare la mente e focalizzarsi verso un obiettivo, che può riguardare la vita privata (life coaching), o il lavoro (business coaching). É ovvio che ogni settore del coaching viene trattato diversamente e che quasi ogni coach esperto, alla fine preferisca orientarsi e specializzarsi in un’area piuttosto che un’altra; ma in buona sostanza, il coach è un vero e proprio allenatore mentale volto al conseguimento di uno scopo determinato.

È importante sapere che il coach non è uno psicologo e tratta il suo cliente (il coachee) in modo molto diverso da come si fa normalmente in ambito medico e psicologico. Al coach interessa sviluppare le potenzialità del suo assistito e si focalizza insieme a lui nella formulazione e nel raggiungimento di un obiettivo specifico, realistico e temporizzabile (cioè con una data prefissata). Non si crea dipendenza, anzi si spinge verso la piena autonomia del coachee e normalmente l’insieme delle sessioni (cioè degli incontri tra coach e coachee) non dura più di un anno, anzi spesso anche solo pochi mesi, a seconda del tipo di situazione che si vuole risolvere o del target che si desidera raggiungere.

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Come si svolgono le sessioni?
Gli incontri con il coach possono essere “presenziali”, dove coach e coachee si vedono fisicamente, oppure audio/video (dove si utilizzano strumenti come il telefono – anche se raramente per una sessione vera e propria – o la comunicazione con piattaforme tipo Skype o Hangout di Google+), in cui si può parlare, e portare avanti quindi la sessione, senza necessità di muoversi da casa.

La scelta ovviamente dipende sia dalla distanza tra coachee e coach, sia dalla disponibilità di quest’ultimo ad offrire un servizio che non sia “classicamente” impostato dentro un ufficio o una stanza dedicati.

Senza dubbio la sessione online, offre il vantaggio di lavorare insieme a prescindere dal luogo fisico in cui ci si trova e avere orari più flessibili senza perdere tempo “inutile”, come quello buttato nel traffico per gli spostamenti da una zona a un’altra.

La durata di un processo di Coaching, come accennavo poco sopra, va in media dai 3 ai 12 mesi e ogni singola sessione va dai 60 ai 90 minuti. La frequenza invece, va dai 7 ai 14 giorni; anche in questo caso ci si dovrà orientare in base al focus e obiettivo del cliente.

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Come lavora un coach?
Lo strumento più utilizzato e più efficace di un coach – se sa come usarlo – sono le domande.

L’obiettivo del consulente non è “solo” quello di risolvere il problema del suo cliente, offrendogli la soluzione che sembra più logica dalla sua prospettiva; ma quello di guidare il coachee verso percorsi che finora non erano stati approcciati – o che erano stati approcciati in modo non funzionale – e far sì che questo possa acquisire nuove consapevolezze che lo conducano alle soluzioni.

Le domande “potenti” (così vengono chiamate quelle di un buon coach) suggeriscono il modo in cui ragionare e procedere, restando focalizzati verso un obiettivo e/o la risoluzione di un problema.

Può anche accadere – e anzi capita piuttosto spesso – che la persona non sappia bene quale debba essere il suo obiettivo, che si senta insoddisfatta senza neanche conoscere nel dettaglio, i motivi del suo malessere e senza sapere, men che meno, come agire per modificare la sua condizione. Anche in questo caso, grazie a domande specifiche, costruite appositamente dal coach, si riescono a delineare i contorni veri e propri del disagio e di conseguenza, l’obiettivo specifico che il coachee vuole prefiggersi.

Una volta compreso il target, il coach crea, insieme al suo cliente, un piano d’azione pratico e preciso, fatto di azioni da intraprendere entro un certo periodo di tempo (cosa fare domani, cosa entro una settimana, un mese, sei mesi…). Di sessione in sessione, il coach dovrà accompagnare i progressi effettuati dal coachee e spronarlo e/o mantenerlo focalizzato verso il traguardo successivo.

Una cosa importante che deve essere tenuta a mente riguarda la responsabilità.

Nel momento in cui una persona si affida ad un consulente di questo tipo, non sta demandando la propria responsabilità sul buon andamento di un suo progetto, o sulla risoluzione di un suo problema. Il coach ascolta, individua i “punti deboli” e le esigenze del coachee e favorisce la sua comprensione sul cosa fare per ottenere ciò che desidera; oltre a questo, come ti scrivevo, formula, con lui, una strategia scadenzata, precisa, efficace e volta all’obiettivo in questione… ma la scelta del “se” e del “come” agire spetta sempre, in ultima analisi, al coachee stesso.

Ecco perché è anche importante che il coach non esprima il suo parere su “cosa sarebbe meglio fare per”: è la persona direttamente interessata che ci deve arrivare, perché in questo difficile lavoro di “condurre senza rivelare”, effettuato dal bravo coach, sta invece la crescita del coachee, che in questo modo si rende indipendente da chiunque altro e impara il metodo di affrontare la situazione contingente e la base per le successive… questo è un valore aggiunto non solo in favore della circostanza che si sta affrontando, ma anche delle capacità della persona stessa.

Ultima – ma non per importanza – annotazione che vorrei sottolineare riguardo alla figura del coach, è l’abbattimento di ogni giudizio privato. L’oggettività è una delle armi vincenti in questo lavoro: lasciarsi andare alle opinioni personali è un errore madornale perché, in questo modo, si abbandona il distacco necessario che serve al coach per guidare il coachee.

In estrema sintesi, il coach permette al suo cliente di essere più consapevole del proprio modo di pensare e agire, del valore delle sue potenzialità utili ad armonizzare e affrontare scelte, compiere azioni e raggiungere obiettivi.

di Angela Pollastrini